giovedì 11 febbraio 2016

Narrativo e simulativo: qualche riflessione in merito.

È da un po' che sento parlare di giochi narrativi contrapposti a giochi simulativi. Diverse volte ho dato la cosa per scontata e assodata, ma più ci ragionavo e più mi chiedevo se questa terminologia "popolare" potesse essere valida oppure nascondesse delle magagne, delle approssimazioni o addirittura dei madornali errori. 

Se paragonato all'età media dei giocatori di ruolo sono giovincello, e non ho vissuto in pieno la storia del gdr (cominciai nel 2004 con D&D 3.0), ma so che ai tempi in cui Vampiri iniziava a fare incetta di riconoscimenti e vendite era nata un'accesa diatriba (ma va, che cosa strana, noi nerd non le facciamo 'ste cose) tra i giocatori di vecchia data e quelli di Vampiri. Quest'ultimo era visto come un gioco narrativo, perché (sulla carta) improntato a storie di intimo orrore e drammi e non al picchiare coboldi nei dungeon. Secondo questa mentalità, i giocatori di Vampiri giocavano per interpretare e gli altri per l'avventura.
Illustrazione tratta dal gioco Vampyr della DontNod

Oggi, con più consapevolezza, tutto questo appare ingenuo, anche e considerato che giochi come Vampiri e D&D hanno tanto, troppo in comune (ruolo e poteri del GM, ruolo dei giocatori, abilità e uso delle stesse, regole dedicate al combattimento, filosofia di design) anche al di là di differenze tematiche evidenti. Infatti il termine "narrativo" ha subito mutato pelle quando sono arrivati giochi effettivamente diversi, molto più di quanto possano essere diversi D&D e Vampiri, che in vista di questa nuova rivoluzione sono stati accorpati dentro una macro categoria che qui in Italia chiamiamo "gioco tradizionale" (termine forzato e fuorviante, secondo me, ma non voglio parlarne qui). 

Questi nuovi giochi si sono presentati in netta rottura con il passato, spesso in modo polemico (e quindi a volte recepiti con antipatia), percorrendo nuove vie e abbandonando molta di quella zavorra che prima di allora era sempre stata vista come essenziale. Zavorra che spesso e volentieri viene indicata con il nome di "physical engine", termine coniato da Michele Gelli nell'articolo "i dadi non hanno senso estetico" (che potete trovare qui, nell'INCBook2010.). 

È proprio da qui che nascono i termini narrativo e simulativo per come li conosciamo oggi. Vediamo il loro significato:

Illustrazione di MoulinBleu
Simulativo

Un gioco che crea fiction (ossia crea uno spazio immaginato condiviso) tramite la mediazione di un physical engine. Mi spiego meglio.
Il physical engine è quella serie di regole che ti dice quanta forza ha il tuo personaggio, quanto salta in alto, quando danno fanno le pistole, quando è dura una porta di legno, ecc. Il suo intento è quello di simulare la fisica del mondo, o come ho detto in altri articoli, di simulare un'ambientazione. Questa volontà "simulativa" la si evince facilmente in giochi come Mutants & Mastermind, che hanno sotto-regole dedicate per ogni potere, ma è presente in tutto il filone cosiddetto "tradizionale".

L'obiettivo è quello di creare una realtà quanto più possibile oggettiva, in modo che il realismo sia il più vero possibile e non solamente percepito. 

Come dice qualcun'altro (Claudio Freda) prendendo in prestito il termine diegesi con l'accezione utilizzata spesso in ambito cinematografico (dove la diegesi è il racconto, il nostro spazio immaginato condiviso, la fiction), un gioco "simulativo" sarebbe un gioco che predilige o ha solamente regole intradiegetiche, ossia regole che gesticono gli elementi interni alla fiction, alla diegesi. 

Narrativo

Illustrazione dal manuale di Apocalypse World
Un gioco che crea fiction tramite regole che non simulano la fisica di un mondo ma il comportamento
della narrativa. L'idea di base è che è impossibile simulare la fisica con solo due numeretti e qualche dado (servono computer potenti e complesse formule matematiche per farlo) e che le leggi della fisica non possano ricreare da sole delle storie interessanti (e anzi, a volte siano un ostacolo). A questo proposito, il realismo percepito viene lasciato decidere direttamente alle persone che lo giocano (o al tono e fattori minori).

Secondo la terminologia sopra descritta, un gioco "narrativo" sarebbe un gioco che predilige regole extradiegetiche, che gestiscono gli elementi esterni alla fiction, ossia non i suoi elementi ma i suoi comportamenti.

Sono termini sensati?

A mio modesto parere non molto. La distinzione a cui questi due termini danno un nome sembrerebbe esistere, anche se non così nettamente come sembrerebbe in un primo momento. Esistono parecchi giochi che si pongono a metà tra le due impostazioni, penso per esempio a Mouse Guard o 3:16 o persino a Dungeon World, dove le caratteristiche dicono comunque quanto sei forte o intelligente e dove ce la regola per l'ingombro e il peso trasportabile (regole intradiegetiche). Ma potrei fare altri esempi, per esempio in Apocalypse World le armi hanno ognuna danni diversi in base alla potenza ed etichette per la distanza o la maneggevolezza (e queste sono regole intradiegetiche), o nel Fate Base dove le abilità indicano effettivamente le competenze di un personaggio (e ogni regola che quantifica la fiction è intradiegetica).

Oltre a questo, non sono termini molto sensati per via dei significati a cui rimandano. "Narrativo" dà l'idea di un gioco dove ce la si racconta senza tirare dadi, o dove non esiste una sfida (Anima Prime è li che se la ride) e "simulativo" dà l'idea di un gioco in stile Flight Simulator dove non c'è storia ma solo una fredda simulazione della fisica (e Pendragon è li che se la ride). 

Narrativo, specialmente, è un termine altamente fuorviante, perché tutti i giochi di ruolo sono narrativi. Pensateci: quello che caratterizza un gioco di ruolo è il SIS, ossia il nostro amico "spazio immaginato condiviso", detto anche fiction o diegesi. Questo è facilmente dimostrabile.

Prendete Risiko. In Risiko potete tranquillamente fare finta di essere un generale che impartisce ordini alle sue armate, creando a tutti gli effetti uno spazio immaginato condiviso. La presenza o meno di questo spazio immaginato però non inficia in nessun modo il funzionamento del gioco, è un più che potete mettere, ma non è importante. Risiko funziona benissimo anche senza, non ne ha bisogno (anzi, potrebbe venirne rallentato o peggio). Lo stesso discorso vale per Monopoli.

Un gioco di ruolo invece non esiste senza uno spazio immaginato condiviso. Pensate alla classica sessione di D&D in una locanda: il DM vi descrive una bettola puzzolente dove tutti vi guardano con occhio torvo e intenzioni poco raccomandabili. Uno di questi tizi, alto quanto un armadio e altrettanto grosso, vi spintona con la spalla e vi dice: «sterco di goblin, guarda dove metti i piedi o ti stacco la testa». Voi rispondete con un bel pugno sul grugno. 

Tutto questo avviene all'interno di uno spazio immaginato condiviso e non esiste al di là delle narrazioni dei giocatori. Senza questo spazio immaginato il gioco non esisterebbe (si, nonostante la griglia di battaglia).
Illustrazione di Svetlin Velinov
Quindi ogni gioco di ruolo è narrativo proprio perché non esiste senza uno spazio immaginato condiviso, e per avere questo bisogna narrare. Narra il GM, che vi dice dove siete e chi c'è attorno a voi, e narrano anche i giocatori, perché quando dite che voi fate qualcosa (tipo: «sfodero la spada») a farlo è il vostro personaggio, non voi. Voi state narrando utilizzando la tecnica della prima persona (niente vi vieterebbe di narrare anche in terza persona, volendo). 

È per questo motivo che trovo il termine "narrativo" altamente inadatto a descrivere i giochi privi di physical engine, perché ogni gioco è narrativo. Esattamente come trovo fuorviante anche il termine "simulativo" e persino il termine "phsycal engine". 

I giochi simulativi non simulano proprio nulla, hanno semplicemente delle regole per gestire direttamente alcuni elementi dello spazio immaginato condiviso. Sono regole che filtrano comunque la narrazione e non possono esistere senza di essa. Per applicare la regola che vi dice che il vostro personaggio si becca n danni ogni 3 metri di caduta, beh, nello spazio immaginato condiviso deve accadere qualcosa che permetta di usare quella regola: il vostro personaggio deve cadere per almeno 3 metri. Questa e regole simili non possono esistere senza narrazione.

E il physical engine non è un engine, non è un motore, perché non fa funzionare nulla. È un insieme di regole che messe li come sono messe significano poco. Funzionano solo se ci sono altre regole (esplicite o implicite) che le danno corpo e senso, regole extradiegetiche come la figura e il ruolo del GM (si, fa parte del sistema inteso come le regole applicate davvero al tavolo) o altre regole dove la figura del GM è meno essenziale o del tutto assente. Esse filtrano una narrazione, ma non la creano (sapere che il tuo barbaro di D&D solleva 300kg o il fucile a canne mozze di Apocalypse world fa tot danno è un poco poco per dare vita ad una fiction coerente, no?), quindi serve altro che dia senso a queste regole. Il vero motore quindi non sono loro, è altro, e quindi non sono un engine.

Infatti servono sempre regole extradiegetiche per mettere in correlazione e far funzionare tutte le regole intradiegetiche. Chi può aprire le scene, chi decide dove si trovano i pg, chi muove il mondo, chi decide cosa provano i personaggi e così via, anche regole che gestiscono in maniera più focalizzata il flusso della narrazione è così via. Tutti i giochi di ruolo hanno, implicitamente o esplicitamente, questo tipo di regole. Si, persino i tradizionali (spesso e volentieri sono regole implicite che lavorano al livello del sistema e non sono veramente scritte nel manuale). 

Che termini utilizzare?

Non ne ho idea. Seriamente, non credo che sia importante, anche perché le differenze potrebbero non essere così marcate come sembra. O meglio, potrebbero non essere così importanti come invece lo sono altri elementi. 

Voi che leggete avete qualche termine da proporre? Non siate timidi, se avete idee fatevi avanti.

Io a dire la verità sono un po' stufo delle divisioni e sarei per trovare termini inclusivi più che divisivi, ma se questi termini possono aiutare a capirci meglio (per esempio quando qualcuno chiede o consiglia giochi), ben vengano.

17 commenti:

  1. Mi piace molto come riflessione e la trovo condivisibile. ;-)

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  2. Concordo, sopratutto con l'ultima frase! ;)

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  3. Bell'articolo, mi ha fatto un po' di chiarezza su questi due termini che - in tutta onestà - non ho mai compreso appieno...
    E anche adesso che ho le idee più chiare mi pare una divisione abbastanza superflua, per gli stessi motivi che hai detto tu :)

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  4. Secondo me è molto molto interessante e approfondito, e chiarisce molto le cose.
    Credo sia importante fare chiarezza, perché così sappiamo di cosa parliamo, e se cerco un gioco di un certo tipo, so come chiamarlo e perché, altrimenti rischio di non esserne soddisfatto.

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    1. Quindi dici che c'è comunque bisogno di una nomenclatura, ma che sia valida, sensata ed inclusiva?

      Per esempio, tu come procederesti Nicola?

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    2. Secondo me proporre una nomenclatura è arbitrario, e questo è vero sempre. Ma, se ne proponi una, devi avere anche lo status necessario per essere ascoltato e usato come fonte per quella nomenclatura.

      Questo è più complesso. ;-)

      P.S. Ovviamente la nomenclatura che proponi deve avere delle basi solide, se no, non solo è arbitraria, ma anche sbagliata.

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    3. Beh, in campo videoludico la nomenclatura si è imposta per uso corrente e abitudine, e non tanto grazie a una auctoritas. Il problema è che li esistevano parecchie riviste di settore e si è sempre discusso in maniera più o meno critica sul media; in campo gdristico tutto è rimasto rinchiuso negli scantinati.

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    4. Sarà che forse i videogiocatori sono meno litigiosi perché più frammentati e non hanno una così netta contrapposizione tra giochi “moderni” e “tradizionali”.

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    5. Sono litigiosissimi anche loro, ma si, il media è molto più frammentato, molto più diffuso e, specialmente, c'è molta più consapevolezza dietro. Le grandi case di sviluppo hanno tutto l'interesse a fare studi sul media, e non solo loro.

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  5. Sono abbastanza d'accordo con l'articolo. I termini sono nati in un periodo in cui era necessario definire delle cose (ci potrei scrivere un lungo articolo sulla questione, ma non ne ho voglia); una volta presi piede i termini sono rimasti anche se non servono più (forse).
    C'è stato un tempo in cui D&D era divenuto una specie di gioco da tavolo: la fiction era una stanza e quattro corridoi ben poco descritti, una serie di mostri da uccidere senza motivo, una tesoro da recuperare così perché fa figo ed una serie di personaggi senza alcuno spessore che andavano in giro ad ammazzar mostri. L'interpretazione era prossima allo zero. Praticamente il gioco veniva ridotto a SIMULARE un combattimento.
    Poi nacque Vampiri che, regolamento a parte, puntava tutto a ricreare quella Fiction che era andata perduta: non si trattava solo di "combattere" ma di creare... NARRARE storie. Il regolamento non sempre aiutava, ma questo era poco importante (potrei fare una disamina sul "sistema" ma soprassediamo).
    I termini sono stati ripresi quando si è deciso di "codificare" il modo di fare regolamenti in vigore fino a quel momento ed... il resto! In termine Phisical Engine è stato un primo tentativo di cambiare i termini, ma è stato poco usato.
    Le cose poi si sono complicate ulteriormente quando si è deciso di "codificare" il "metodo di gioco" su cui spingeva il "sistema" (Simulativo, Narrativo, Gamismo).

    Ciao :)

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  6. Daccordissimo con quanto hai detto, comprendo che l'uso di termini specifici sia d'obbligo in ambienti come quello di chi crea un gioco, ma altrettanto penso che divengano lesivi se usati troppo come arma nel mondo invece di chi ne parla e di chi ci si interessa e basta; questo modo di parlarne ha spesso avuto l'effetto di far sembrare che l'interlocutore si volesse mettere più in alto di te e ti facesse capire che tu non ne sapevi a sufficenza.
    Ottenendo l'effetto contrario.
    Invece se di qualcosa ne sai e se ti piace sai come descriverlo, è un dato di fatto; che poi possa non interessare ci sta.
    Comunque hai dato un'ottima spiegazione.

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    1. Beh, i termini tecnici utilizzati dai designer sono altri. Tipo, lo spazio immaginato condiviso è uno di quelli, ma in questo contesto mi era indispensabile usarli.

      Narrativo e simulativo sono termini che si sono imposti già da tempo come travisazioni totali di Narrativista e Simulazionista, ossia due delle creative agenda (la terza è il Gamismo). La confusione su quei termini non è solo italiana, tanto che sono state proposte tre terminologie diverse in modo da non confondere i piani: Right to Dream, Story Now e Step on Up. Però a quanto pare la confusione è rimasta.

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    2. Right to Dream, Story Now e Step on Up non hanno fatto altro che creare ancora più confusione dei termini Simulazionismo, Gamismo e Narrativismo. Ma magari di questo è meglio parlare in un articolo apposito ;)

      Ciao :)

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    3. Si, anche perché le stesse persone che ne parlavano facevano confusione, e oggi pare che tutto il discorso sulle CA sia stato abbandonato perché troppo confuso. E inutile.

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    4. Secondo me, invece, hanno fatto chiarezza. Tant’è che tutte le volte che sento parlare di narrativismo, simulazionismo e gamismo la cazzata è lì in agguato.

      Quando si usano termini più corretti non è che vada incredibilmente meglio, ma se non altro vedo meno cantonate.

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    5. In parte hanno aiutato, ma temo che ormai il danno sia stato fatto ed è difficile parlarne senza sollevare enormi polveroni.
      Anche perché non servono per giocare.

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  7. Tieni conto che parlano di cose molto diverse: gamista, simulazionista e narrativista parlavano di attitudini del giocatore. Invece, step on up, right to dream e story now parlano degli obiettivi collettivi del gruppo nel suo insieme.

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