martedì 17 novembre 2020

"Giochi di Ruolo" di Mauro Longo. Una recensione dal Nuraghe.

Salve bella gente, quanto tempo eh? Stando a quanto dice il blog sono due anni (DUE!) che non scrivo niente su questo spazio. La mia produttività è calata, il mio interesse per l'ambiente gdr è stato altalenante e quando ho avuto qualcosa dire ho sempre approfittato dell'ospitalità degli amici di Storie di Ruolo. Questa volta però avevo da scrivere qualcosa di molto personale e, insomma, mi sono ricordato che da qualche parte questo blog esisteva ancora. Quindi, veniamo a noi...

Con gli anni la Dino Audino Editore ci ha abituati a prodotti di qualità. Nonostante una grafica poco accattivante e un’impaginazione vetusta, la Dino Audino è sempre riuscita a portare sugli scaffali manuali di tutto rispetto, tra cui spiccano, per fare qualche nome, titoloni imprescindibili come Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler, che serbo gelosamente e avrò riletto almeno un centinaio di volte. 


Forte di un nome credibile, la Dino Audino propone, tra molti sguardi increduli, il suo primo manuale dedicato interamente alla creazione e alla divulgazione dei giochi di ruolo, scritto dal nostrano Mauro Longo, un autore che non ha certo bisogno di presentazioni. Mauro è un prolifico creatore di Libri Game e a lui si devono anche famosi giochi di ruolo come Brancalonia o Ultima Forsan. Il manuale, chiamato semplicemente Giochi di ruolo, con sottotitolo Come inventare, realizzare e proporre giochi di interpretazione, di avventura e di narrazione, è un agile libretto che si propone di introdurre giovani autori alla creazione del proprio gioco

Sarà riuscito il nostro Longo a dare vita a un manuale chiaro, consapevole e capace di illuminare la via dei nuovi autori di GDR?

La risposta breve: no, per niente.
La risposta lunga? Continuate a leggere.


Sin dall’inizio non si capisce chi sia il vero target di questo libro. Longo inizia introducendo il lettore al gioco di ruolo, ma la spiegazione di cosa sia un gdr risulta grossolana e parziale, praticamente figlia degli anni ‘90, in cui esisteva un unico modo di intendere il media. Mai una volta introduce elementi tecnici essenziali come spazio immaginato, fiction o definizioni accademiche elaborate da esperti di game studies. 

Intendiamoci, quest’approccio andrebbe anche bene, se fosse pensato per introdurre lettori che non sanno nulla o quasi dell’argomento, ma siccome il manuale si propone di aiutare nuovi autori nel difficile percorso di creazione di un gioco, ci si aspetterebbe quantomeno l’uso di un vocabolario e di concetti più specifici, più tecnici, più pregnanti

Sfogliando il manuale, anche solo dall’indice, ci si accorge purtroppo della pochezza e della superficialità con cui sono stati trattati certi argomenti. Ve lo dico spassionatamente: da un autore affermato come Longo mi sarei aspettato molto, molto di più, e invece siamo ancora a un livello di consapevolezza sul media molto basso e tronfio nell’esserlo (poi ci si chiede come mai il GDR non riesce a uscire dal suo angolo di amatorialità). Longo fa ripetute affermazioni che ignorano gli ultimi 20 anni di studi sul gioco di ruolo, e lo fa per una precisa scelta di posizionamento di campo.

Lo si nota in diverse occasioni. Per esempio, quando già dall’inizio l’autore fa una divisione dei giochi di ruolo per tipologie, suddividendo il media in gdr di esplorazione, gdr di avventura, gdr di combattimento, gdr di proiezione, gdr di investigazione e gdr narrativi (con un miscuglio incoerente tra modi di giocare e generi narrativi). Tranne l’ultima, tutte le altre tipologie sono praticamente diverse concezioni del cosiddetto gioco di ruolo tradizionale, suddiviso tra l’altro in maniera del tutto arbitraria secondo distinzioni che vede solo l’autore, mentre l’ultima, il gioco narrativo, racchiude tutti i giochi che non hanno una storia data in partenza ma la si costruisce tutti insieme al tavolo (e se conoscete un po’ l’ambiente è come dire nulla). È una catalogazione fuorviante, perché fa passare come “gioco narrativo” tutti i giochi che non sono giochi tradizionali, diversissimi tra loro, tra i quali si annoverano certo giochi il cui scopo è vivere una storia emergente (e sottolineo viverla, non crearla), ma anche giochi che simulano una fiction o un genere, giochi dove conta la sfida e così via. È il solito stereotipo (falso) del gioco dove ce la si racconta, cavalcato da una certa frangia reazionaria e conservatrice che ostracizza tutto ciò che non sia un gdr tradizionale. Insomma, è pura e semplice disinformazione. 

Andando avanti con la lettura del manuale, tra esempi, consigli e descrizioni di questo o quell’altro aspetto di un gioco di ruolo, quello che salta subito all’occhio è che Longo tratti solo un tipo molto preciso e ristretto di gioco di ruolo: quello dove un GM prepara un’avventura da far affrontare a un gruppo di personaggi gestiti dai giocatori. Non ci si prende nemmeno la briga di descrivere o informare su diversi tipi di modi di giocare, figuriamoci se si nominano giochi senza master, giochi con un solo PG principale o giochi senza un gruppo unito che fa avventure. No, si dà per scontato e per assodato che il gioco di ruolo sia solo quello schema là

Volete esempi in tal senso? Vi basti anche solo leggere velocemente l’indice per accorgervi dei capitoli su come preparare l’ambientazione e su come scrivere le avventure per un gioco di ruolo, ricadendo nella vecchia concezione che in fondo in fondo tutti i giochi di ruolo si giochino allo stesso modo, e che quindi possano valere consigli generali in tal senso. L’autore non prende mai in considerazione l’idea che, forse, non tutti i giochi necessitino di avventure, e non spiega nemmeno ai giovani autori come approntare procedure per aiutare i loro lettori e giocatori a sviluppare una loro avventura. La rivendicazione della one true way da chi non è mai uscito come mentalità dagli anni ‘90.

Il resto della trattazione riesce ogni tanto a gettare nel mucchio elementi e idee interessanti, come per esempio il concetto (essenziale) che le meccaniche servano a spingere determinati comportamenti al tavolo, ma purtroppo tutto appena accennato in sì e no due righe. Si spendono invece molte parole su come dovrebbe essere un sistema di combattimento (ancora una volta, secondo l’idea che tutti i giochi debbano averne uno), sui punti vita, sui danni, sulle abilità e le caratteristiche, sui dadi da tirare, in un turbinio di elementi vestigiali da tipico gioco anni ‘80/’90, che sempre più stanno venendo abbandonati anche dai grandi autori. 


Ok, abbiamo capito che Longo parla solamente di un certo tipo ristretto e preciso di gioco di ruolo, ma almeno il manuale è utile se volessi creare quel tipo di esperienza? Non tanto. 

Tutte le indicazioni sono molto vaghe, molto striminzite e peccano della mancanza di focus. Sino all’ultimo non è davvero chiaro quale sia lo scopo di tutto il manuale, se voglia essere una trattazione a volo d’uccello sul gioco di ruolo, un manuale pratico per designer o un aiuto per i GM. Il suo essere di tutto un po’ gli impedisce di risultare efficace in quello che si ripromette di fare

Per essere un vero manuale di design manca di tutti gli elementi essenziali: una disamina della narrazione e della fiction; una dissertazione approfondita sugli obiettivi del gioco e sulle sue tematiche; informazioni sulle autorità narrative e loro distribuzione al tavolo e così via. Manca tutto quello che un nuovo autore dovrebbe sapere per creare il proprio gioco con consapevolezza. 

L’unica cosa che il manuale riesce a fare, forse, è essere un manifesto di un certo modo ristretto di intendere il gioco di ruolo, dimostrandone la superficialità e una certa mancanza di design ponderato e studiato. Dà fastidio dover dare dei giudizi così negativi e così tranchant, ma la mancanza di onestà intellettuale dimostrata dal testo è così palese, così urlata, che è difficile non rimanerne basiti. 

E va detto: questa recensione non vuole essere un attacco a Longo come persona o come autore, con cui anzi mi sono ritrovato spesso d’accordo su altri argomenti e in altri ambienti, ma una riflessione amara di quanto superficiale, conservatrice ed elitaria riesca a essere la cultura dominante del gioco di ruolo, incarognita in una lotta assurda contro la consapevolezza del media portata avanti da designer, divulgatori e studiosi ormai da decenni, e sempre pronta alla cancellazione di tutto ciò che non rientra nello schema prefissato del GM-gruppo di avventurieri. 

Dispiace dover usare parole così dure, ma davvero, credo fosse necessario, perché manuali come questo potrebbero risultare addirittura dannosi se letti e utilizzati da persone poco consapevoli e non posso far finta di non aver trovato tutto questo un’occasione mancata. 

Chiudo ringraziando Leonardo Lucci, senza il quale questa recensione non avrebbe mai potuto vedere la luce. 


6 commenti:

  1. Io devo ancora finirlo - ho appena iniziato la parte sulla stesura delle avventure - ma fin qui ha lasciato un po' perplesso anche me.
    Non penso che sia un problema aver presentato il modello più diffuso di gioco, ma per come viene presentato, sembra quasi che il gioco di ruolo sia esclusivamente quello, mentre invece, oggi e da diversi anni, è solo una parte di questo mondo.

    In sostanza, ha presentato un modello di gioco estremamente tradizionalista, aggregando gli elementi più tipici (master, avventure, gruppo di PG, casualità tramite dadi) rendendo il manuale un procedimento per creare cloni di D&D... lo trovo un bel po' restrittivo.
    Considerando che quell'approccio al gioco non mi fa più impazzire da molti anni, avrei preferito una panoramica più ampia, che magari andasse a pescare dai diversi estremi del mondo dei gdr, anziché presentare come "unico" un modello così vecchio e per me poco soddisfacente.
    Tanto più che il gioco di esempio che ha abbozzato nel libro, Vecchia guardia, qualche guizzo lontano dalla tradizione sembra pure averlo.

    Avrei apprezzato di più un manuale che rendesse comprensibili le teorie forgite (che ho sempre trovato siano spiegate in modo poco chiaro) senza dover aspettare l'illuminazione dopo due anni di partite ai pesi massimi di un tempo, ma vabbé, magari accadrà in futuro. :P

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    1. È quello il problema. Suona tanto di occasione sprecata, purtroppo.

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  2. Mah. Letto e trovato inqualificabile e con molta presunzione

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  3. Io anche l'ho letto e mi è venuto il prurito, ora devo andare dal dermatologo

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  4. Purtroppo Mauro Longo risente molto spesso del suo Ego che si trasmette nei volumi scritti. Pertanto non mi pare strano che si sia toppato alla grande in questo contesto. Oltretutto non riesce mai ad accostarsi in chiave moderna alla lettura del gioco di ruolo. Peccato
    Stefano

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  5. A me pare invece che come al solito tu pretenda che il tuo modo di vedere il gdr sia unico e consolidato; mentre sono ormai 20 anni che è divenuto chiaro a tutti che questo tentativo di imporre dei paletti e dare dei termini "scientifici" al gdr, con fine unico di poter poi darsi ragione, non funzioni e non interessi più.

    A conti fatti il primo punto di interesse in gdr è COSA giochi, non ci giriamo attorno, se mi proponi un GDR che tratta di Vampiri suddivisi in famiglie obbligatoriamente a me viene da dire "E' uguale a Vampire, vediamo se c'è qualcosa di nuovo".
    I dati parlano chiarissimo, i vari giochi eleganti, raffinati e perfetti al centimetro vendono in modo irrisorio rispetto ad un D&D qualsiasi, perchè?
    Questa è un analisi che tu e i tuoi affini non fate mai.

    Longo è egocentrico e parla solo di quel che pare a lui?
    Non importa, ha saputo sfruttare appieno D&D 5 creando Brancalonia, pubblica libri e via dicendo; non concordi con quanto scritto?
    Scrivi un libro, se vedi che non riesce a diffondersi a sufficienza fatti due domande però.

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