lunedì 10 ottobre 2016

La morte dei personaggi è sopravvalutata?

Il titolo potrebbe essere leggermente clickbait, ma i miei intenti sono buoni, lo giuro. Voglio fare una piccola riflessione di game design, partendo da questo post interessantissimo uscito su Fate Italia. Si focalizza sul fallimento in Fate, ma ci dona degli spunti interessanti. 


Mi è capitato più volte di sentire giocatori o master dire, espressamente, che un buon gioco (realistico, spesso) dovrebbe avere un'alta mortalità. Questo concetto esce fuori di frequente quando si parla di gdr horror, ma lo si può sentire associato a qualsiasi tipo di gioco, spesso assieme ad altri concetti, tipo che i giochi dove i personaggi muoiono raramente, o praticamente mai (a volte solo se vuole il giocatore o se si verificano particolari condizioni), permettono ai giocatori di fare quello che vogliono senza freni, non hanno pathos e sono noiosi perché non c'è sfida. Mi spiace non poter fornire fonti, ma si tratta di cose dette oralmente, oppure, se scritte, di discussioni perse nello stream dei social network. Immagino comunque sia un pensiero molto comune e in larga parte accettato e quindi non ci sia bisogno di fonti. Probabilmente avete sentito discorsi simili molte volte o li avete fatti voi stessi. 

Il gioco come dungeon da superare

Ora, l'idea che la morte, ossia quando un personaggio viene buttato fuori dal gioco perché deceduto e il suo giocatore lo perde, sia fondamentale, non è mica poi tanto sbagliata. Il concetto che sta dietro è molto condivisibile, ma... solo in determinati contesti. Cosa vuol dire? Vuol dire che dobbiamo capire come mai è nata quest'idea e in quali contesti funziona bene.

Partiamo con qualche accenno storico. Il primo gioco di ruolo umanamente riconosciuto come tale è Dungeons & Dragons. Nella sua primissima incarnazione, però, era molto diverso dal D&D a cui siamo abituati oggi (ossia le edizioni 3.5 e Next): era un gioco dove la sfida era im primo piano, dove il master giocava come freddo arbitro e dove la morte era all'ordine del giorno. Gli scontri erano scoraggiati meccanicamente, dato che i mostri erano pensati per essere mortali nella grande maggioranza dei casi; la strategia migliore era scappare o nascondersi e si veniva premiati per aver trafugato il bottino, non per aver ammazzato avversari. Tutto quanto era pensato per essere una sfida vera e propria, dove contava risolvere il dungeon preparato dal GM e il tema principale era la sopravvivenza fisica. In questo contesto la morte era un game over funzionale e relativamente appagante, anche e specialmente perché la narrazione iniziava e finiva dentro il dungeon, e non c'era una trama complessa e coerente da portare avanti. Se si moriva come cretini, amen, si creava un nuovo avventuriero e via.


Questo approccio è stato ripreso di recente da alcuni designer della Old School Renaissance. Si tratta di un movimento nostalgico più rilassato e giocoso. In questo contesto la morte dei personaggi è fondamentale e funzionale. 

Ma torniamo a noi. Con la fama che cresceva D&D ha lentamente dovuto accontentare necessità ludiche diverse, trasformandosi progressivamente di edizione in edizione e ispirando a sua volta altri giochi di ruolo, che nascevano per soddisfare queste nuove istanze. Il "dungeon crawling" puro pareva diventare sempre più stretto e i vari giochi, D&D compreso, iniziarono ad abbracciare un nuovo approccio: storie complesse, piene di colpi di scena e accadimenti epici.

L'unico fallimento interessante è la morte?

Ecco sopraggiungere un modo di giocare nuovo e decisamente efficace: il master scrive una storia, anche solo a grandi linee, concepita come legante di varie sfide, e guida i giocatori al suo interno. Ogni risultato esteticamente brutto ai fini della narrazione, o che cozza eccessivamente con il canovaccio, viene ignorato, dato che il master ha il potere di modificare le regole al volo, ignorare i tiri e aggiustare le cose in base alle esigenze della trama. Questo modo di giocare, che inizia a diventare abituale già negli anni '80, viene sdoganato definitivamente nei '90 con lo storytelling system di casa White Wolf. 

Abbiamo detto che la trama era diventata centrale rispetto alla sfida, ma i regolamenti erano ancora pensati per quest'ultima. Infatti la maggior parte degli elementi dei giochi old school vengono mantenuti, come per esempio le regole nate per sfidare i dungeon (anche se questi non ci sono più) e l'idea che il GM debba punire i giocatori per i loro sbagli (spesso togliendo loro punti ferita). Si crea un'idea forte di come debba essere un gioco di ruolo, ed è difficile che un designer abbandoni certi elementi ormai iconici, anche se il suo gioco non ne ha bisogno. Il combattimento skirmish è uno di questi elementi: un sotto-sistema fatto di tiri per colpire e punti ferita, che ha come obiettivo l'uccisione degli avversari e dove l'unica risoluzione è la morte di una delle parti. Difficilmente un gioco ne faceva a meno. Ecco quindi che i punti ferita rimangono il contatore fondamentale, l'unico davvero importante ai fini meccanici.


I tiri di abilità, che non esistevano nel primo D&D (il loro primo abbozzo si deve a Runequest, 1978, un gioco fondamentale per la storia del gdr), sono un altro elemento portante. Nascono per regolamentare tutto ciò che esula dal combattimento e dal dungeon, ma la loro struttura presuppone due cose: con il successo accade qualcosa (scassini la serratura, la porta si apre e si scopre cosa c'è dietro); con il fallimento non succede nulla (non scassini la porta, questa non si apre e tutto si blocca). Questa struttura è fondamentale per capire alcuni sviluppi, perché è una struttura che crea una certa modalità di pensiero: il fallimento blocca il flusso del gioco, quindi il master, che ha una sua trama da tirare avanti, è costretto a fare in modo che non sia possibile fallire veramente. Per esempio: se i giocatori devono scoprire i piani segreti del cattivone di turno, ma il ladro sbaglia il tiro di cercare, ecco che i piani verranno a galla in qualche altro modo. La macchina deve andare avanti come programmato. 

In questo contesto l'unico fallimento concreto e interessante è la morte del personaggio, che come abbiamo detto era una possibilità reale del sotto-sistema di combattimento e della mentalità vestigiale della old school, per la quale il master sfida i giocatori e li punisce con ferite e morte se sbagliano. Se i giocatori perdono il combattimento, i loro personaggi muoiono; se sbagliano il tiro per arrampicarsi, cadono, perdono punti ferita e rischiano la morte, e così via. 

L'illusione della morte

La morte così concepita è però un evento random, potenzialmente anti-estetico, e dato che i nuovi giochi promettono di far vivere storie, e le storie, per loro natura, ricercano un ritorno estetico, questo porta a un aggiustamento diretto da parte del master. La morte rimane sempre una possibilità regolisticamente concreta, dato che i regolamenti sono ancora impostati per la sfida al dungeon, ma il master, per il bene della storia, fa in modo che rimanga una possibilità remota. I personaggi giocanti sono protetti dalla morte, o lo sono comunque in alcuni contesti, in modo che la loro morte non sia troppo anti-estetica e non blocchi il flusso del racconto. Questa meccanica funziona davvero, e ancora oggi è uno dei modi di giocare più utilizzati e sdoganati. 

Ormai, seguendo questa filosofia, la morte, che pur da regole è prevista, non è più una cosa davvero concreta, ma lo deve sembrare. L'illusione è fondamentale. Questo discorso si estende al "perdere" in generale, perché perdere, abbiamo detto, spesso blocca la storia e quindi molti GM fanno in modo che il fallimento non avvenga, oppure lo rendono nullo dando ai giocatori altre possibilità di vincere finché non riescono. Ciò che importa è l'ebrezza del pericolo.

Il punto infatti non è davvero perdere o morire, ma soltanto la percezione del pericolo, l'illusione che questo possa succedere. I giocatori vogliono sentire la morte vicina, ma non vogliono che il personaggio muoia per davvero. La morte infatti non è più divertente come lo era nella old school, per una serie di motivi: i giocatori hanno investito moltissimo nel personaggio, emotivamente e intellettualmente, e perderlo sarebbe frustrante; inoltre, la morte ha senso in un contesto dove il focus è sulla sopravvivenza fisica, ma quando non è così e i temi sono altri, potrebbe essere un intralcio. Ecco quindi che la morte diventa un evento fastidioso, che ha importanza solo se probabile, non se si verifica veramente. 

E se la morte non c'è? 

Cosa succederebbe se la morte dei personaggi diventasse impossibile o un evento raro? Se ci fermassimo a quanto detto sopra sarebbe effettivamente un piccolo disastro. Morirebbe totalmente l'illusione del pericolo e si perderebbe l'unico effetto interessante di un fallimento. Ecco perché l'idea che la morte sia così essenziale è tanto diffusa.

Ma se provassimo a cambiare le carte in tavola? Scopriremmo l'esistenza di un sacco di giochi che hanno approcciato questi elementi in maniera diversissima. Giochi in cui i fallimenti non sono il blocco della storia, ma suoi momenti cruciali (vedere questo mio vecchio articolo). Giochi dove i fallimenti hanno un impatto maggiore della perdita di qualche punto ferita (perché magari neanche li hanno, i punti ferita) e dove in gioco ci sono cose importanti per i giocatori diverse dalla scheda del personaggio. Giochi dove tutti o quasi gli elementi vestigiali dei grandi classici sono stati abbandonati perché non funzionali all'obiettivo ultimo di design. Mi rendo conto che sto aprendo una porta enorme e che questo discorso meriterebbe molto approfondimento, ma l'articolo è già lungo e ora non posso farlo, anche perché questi giochi sono uno diverso dall'altro e generalizzare è rischioso (e infatti ci sono giochi dove la morte è gestita in maniera più o meno classica). 

Con il tempo alcuni di questi giochi (occhio, non tutti, solo alcuni) hanno cercato di approcciare la
morte dei personaggi in maniera differente rispetto a quanto si fa nei giochi più classici, spesso e volentieri cercando di trasformare un evento spiacevole in un momento esaltante o drammatico da ricordare. Qui di seguitò cercherò di fare un veloce excursus. 

La morte è un evento tematico
Alcuni giochi prevedono la morte dei personaggi, intesa come uscita definitiva di scena del personaggio (e che in alcuni giochi può avvenire anche per motivi che non siano la morte fisica) solo in determinate circostanze.

In Polaris, gioco masterless che parla di tragedie cavalleresche in un regno fantasy polare, questo può avvenire solo quando uno dei personaggi raggiunge un certo punteggio nella caratteristica Logoramento. Vuol dire che il cavaliere ha perso lentamente la sua umanità ed è caduto nel "lato oscuro". Da questo momento in poi può morire.

Nel Solar System, sistema senza ambientazione che è la versione "generica" del regolamento di Shadows of Yesterday, tutto è pensato per dare ai personaggi una morte grandiosa. Si può morire solo nei conflitti estesi, portando il proprio personaggio a prendere le ferite mortali, cosa che succede solo nei conflitti davvero importanti (altrimenti ci si arrende prima), oppure solo quando il personaggio"trascende" e cambia il mondo per sempre con le sue azioni.

Ne Il Mio Fantasy la morte può avvenire solo durante l'ultima missione ed è una scelta del giocatore. Il sacrificio dona enormi possibilità di sconfiggere il cattivone di turno ed evitare che il mondo perisca per sempre.  

Ne La mia Vita con il Padrone, gioco che parla di mostruosi servitori che alla fine si ribelleranno a un tirannico padrone (pensate a Dracula e al suo servo), i servitori, che sono i personaggi dei giocatori, non possono morire sino alla fine della storia. La morte dei servitori è un'eventualità del finale tragico, in cui moriranno per mano degli abitanti del villaggio o commetteranno suicidio, e si verifica in base ai punteggi di umanità e a come si è sviluppata la narrazione. 

La morte non è meccanicamente rilevante
In alcuni giochi la morte del personaggio non è prevista dal regolamento. Questo vuol dire che essa non è tematicamente rilevante e, o proprio non accadrà mai durante tutta la storia, oppure non potrà in alcun modo tagliare fuori il personaggio.

In Avventure in Prima Serata non esistono punti ferita e la morte non è presa in considerazione. Si tratta di un gioco sulle serie tv, dove ogni gruppo creerà la propria serie. In alcune di queste i personaggi non moriranno durante la stagione, al massimo alla fine (come succede davvero nelle serie tv), anche perché magari tutto il contesto non la prevede (pensate a una serie come Gilmore Girls); in altre serie un personaggio morto non uscirà dal gioco, ma magari continuerà a giocare come fantasma o ricordo o chissà cos'altro. Dipende dal tono e dal tipo di serie giocata.

In Archipelago III la morte non è regolamentata e non esistono punti ferita. Il gioco è fatto in modo che il flusso narrativo possa prevedere l'uscita di scena dei personaggi, per motivi legati o meno alla morte. Dato che il gioco non ha un setting preciso, a volte la morte potrebbe semplicemente modificare il personaggio, senza buttarlo fuori dal gioco.  

La morte è un evento raro e gestibile
In Apocalypse World, post apocalittico e primo gioco a base PbtA, la morte dei personaggi è un evento raro. I giocatori hanno tutti i meccanismi per gestire la morte e renderla qualcosa di poco probabile, senza però che il gioco ne risulti depotenziato. In un gioco come Apocalypse World subire danni fisici è la cosa minore che vi possa capitare. 

In Trollbabe, gioco fantasy dove i giocatori interpretano donne forti metà umane e metà troll, le trollbabe possono morire solo se, messe fuori combattimento, i loro giocatori decidono che la descrizione del master è troppo forte e quindi preferiscono far morire degnamente la loro eroina. Una trollbabe può morire anche per mano di un altro PG, ma solo se gli ha dato il permesso.

In Anima Prime un personaggio non può essere ucciso, anche se perde uno scontro. In quel caso viene messo automaticamente KO e il giocatore può decidere di sacrificare il suo eroe per vincere automaticamente lo scontro.

La morte è probabile e auspicabile
In altri giochi la morte non solo è probabile, ma è auspicabile e divertente. Penso per esempio a cose come Geiger Counter, gioco ispirato agli horror slasher, dove i personaggi moriranno come mosche e solo uno si salverà. La morte, in questo contesto, è decisamente divertente e necessaria. I giocatori però avranno sempre spazio al tavolo e cambieranno ruolo.


Terminando il discorso, vorrei fosse chiaro un concetto. La morte dei personaggi e la sua implementazione, in mille modi diversi, è un elemento importante o meno in base all'obiettivo di design di un gioco. Alcuni giochi ne hanno bisogno, altri meno, altri ancora hanno bisogno di implementarla nelle modalità utili ai loro fini. Questo, dopo tutte le parole usate, è il concetto base che vorrei davvero far passare.