martedì 17 marzo 2015

Il GDR e la sfida. SI. PUÒ. FARE.

È da un po' che non scrivo su questo blog. Non perché mi sia stufato, ma perché gli impegni e l'università me lo hanno reso praticamente impossibile.
Ci sono un sacco di articoli e argomenti che vorrei trattare, ma dato che il tempo è poco, per ora mi basta essere riuscito a completare questo. Spero possiate trovarlo interessante. 


Ma veniamo a noi.
Dato che questo articolo tratterà la sfida nel GDR, prima dobbiamo accordarci sul significato che intendo dare al termine. Intendo parlare di sfida solamente in termini di sfida mentale, tattica, di astuzia.

Perché questa scelta?
Perché storicamente i GDR hanno sempre cercato di mettere alla prova l'intelligenza e l'astuzia dei giocatori, mai le loro capacità fisiche. A me non è mai capitato di dover correre contro il master per far si che il mio personaggio riuscisse a seminare degli inseguitori, ma mi è capitato di dover risolvere degli enigmi che in teoria venivano incontrati dai miei personaggi, non da me stesso.
Parliamo dunque di giochi che mettono alla prova l'astuzia e le capacità tattiche e di gestione (delle risorse, ad esempio) dei giocatori, o che mettono i giocatori in competizione tra loro o con il GM (che è un giocatore pure lui).


Quindi, sfida e GDR. 

Sono moltissimi i giocatori che trovano indispensabile una sfida impegnativa e, storicamente, i giochi venivano creati (sulla carta) per spingere verso questa direzione. Era però anche il periodo dei giochi che fanno tutto, quindi l'obiettivo della sfida finiva confinato nel calderone assieme a tanti altri obiettivi: la bella storia drammatica, l'interpretazione e così via. Tutti obiettivi che spesso e volentieri finivano per escludersi a vicenda.

Senza contare la mania, che possedevano alcuni Game Master, di decidere gli scontri delle sfide barando, truccando i risultati o facendo direttamente di testa loro. Chiaramente questo modo di fare annulla a monte qualsiasi sfida. Se c'è qualcuno che è oltre le regole, e quindi può barare e decidere che il tuo personaggio non riesce a fare una cosa oppure non muore per non rovinare la storia, allora la sfida non esiste. Per esserci vera sfida, ci vuole un terreno di scontro alla pari, e ci vogliono regole chiare e trasparenti. 

C'era anche un altro problema, a volte davvero insormontabile, che in alcuni casi rendeva impossibile gettarsi a capofitto nella sfida. Mi riferisco alla confusione tra personaggio e giocatore. In praticamente tutti i modi di giocare in cui mi sono imbattuto (secondo l'usanza tribale di giocare tutti i giochi in un modo molto simile tra loro), la vera sfida tattica era su un doppio piano: sia al livello del personaggio, sia al livello del giocatore. In pratica, i due piani (che come vedremo più avanti, chiameremo diegetico ed extradiegetico) si fondevano assieme, confondendosi e intrecciandosi.

"Meglio muoversi di 6 metri e dare attacco di opportunità, oppure rimanere li e attaccare nonostante sia pericolosissimo? Meglio aggirare i nemici alle spalle, oppure attaccare frontalmente?". 

Secondo quest'ottica la sfida è sia del personaggio, sia del giocatore, e c'è una totale confusione a chi spetti fare cosa.
È una tattica da wargame, ma limitata, perché non si è più un astratto generale che muove le sue truppe, ma si è la stessa pedina che si sta muovendo.

Per quanto interessante, questo approccio portava ad un grosso problema.
Mi riferisco a tutti quei personaggi con una classe più "spaccatutto" o con un punteggio basso di intelligenza (o caratteristica associabile) o con uno svantaggio (in quei regolamenti che li prevedevano) del tipo "avventato" o "cretino", ecc.. Non era plausibile, in gioco, che questi personaggi si mettessero a pianificare strategie o si comportassero in maniera tatticamente valida. Se pure la migliore mossa, in un dato momento, fosse stata quella di indietreggiare, un barbaro mezz'orco (per fare un esempio) non lo avrebbe mai fatto perché non previsto dal suo comportamento tipo o perché troppo tonto per qualsiasi cosa diversa dal "ti spacco l'ascia in testa". Questo significava tagliarsi fuori da una grossa fetta del divertimento, perché impossibilitati dall'interpretazione ad imbastire tattiche.

La sfida andava a farsi benedire.

Da un punto di vista prettamente estetico, beh, la cosa ha senso. A chiunque farebbe strano vedere il muscoloso ma tonto guerriero, la zappa del gruppo, comportarsi come un navigato stratega neanche fosse Kasparov. La cosa è coerente, fila.

A livello più razionale invece non ha senso, perché io giocatore non sono il mio personaggio. Lui è un tonto cavernicolo, io no. Lui non sa imbastire tattiche, io posso provarci e magari riuscirci con successo.

Confondere il personaggio e il giocatore portava poi al proporre gli enigmi direttamente ai giocatori. La cosa può andare bene, se si è tutti d'accordo e si decide di giocare in quel modo, ma storicamente i giocatori dovevano comunque interpretare i propri personaggi, e farlo anche in quel frangente.
Questo portava a bloccare il gioco per ore, perché il giocatore dell'astuto e intelligentissimo mago Parnassus (nome random) non era quasi mai altrettanto arguto come il suo personaggio. Parnassus sarebbe riuscito a risolvere quel puzzle in pochi secondi e nel frattemo completare un cubo di rubik con gli occhi bendati, mentre il giocatore di Parnassus non sapeva nemmeno da che parte iniziare. E sia mai che il giocatore di Grunt, tardo barbaro mezz'orco, utilizzasse la sua arguzia (quella del giocatore) per risolvere il problema. Grunt è tonto come una pietra, non ha senso.
"Dite amici ed entrate". Vi ricordate questo indovinello? Ecco, immaginate di doverlo risolvere voi come giocatori. Dovreste conoscere l'elfico!
A questo punto c'è da porsi una domanda:
Perché tutto questo?

La risposta è semplice: non tutti giocano per lo stesso motivo, e se io voglio un personaggio drammatico, particolare, insolito, spesso e volentieri devo sacrificare la sfida tattica in favore dell'interpretazione. Perché, appunto, le due cose si contraddicono (una scelta drammaticamente carica non è quasi mai anche strategicamente valida), e dato che storicamente molti giochi spingevano verso entrambe le cose con la stessa forza (o non spingevano verso nessuna delle due), il risultato è il solito scontro tra role-player e rule-player.

Ma il problema è accentuato anche da una certa cultura ludica, quella cultura che odia il metagame e ti dice che devi sempre stare in-character. Hai un guerriero stupido? Devi giocare stupido, cazzi tuoi che hai scelto di farlo. 
Non c'è davvero nessun modo per avere sia la sfida tattica sia la possibilità di giocare il proprio personaggio come lo si vuole, senza dover sacrificare nulla?
Rullo di tamburi...

C'è, eccome.

La botte piena e la moglie ubriaca

Fino ad ora abbiamo parlato di giochi dove la sfida tattica è data dall'agire del personaggio interno alla storia, ma viene confusa anche con il piano del giocatore. La sfida proposta ai giocatori è la stessa sfida che vivono i personaggi. Ma... e se dividessimo i due piani? Se la sfida tattica stesse solo su uno dei due piani?

Intanto, quali sono questi piani?
Prendendo in prestito il linguaggio della critica cinematrografica, possiamo distinguere tra un piano diegetico (ossia interno al racconto e al mondo del racconto, ossia In Game), e un piano extradiegetico (ossia esterno al racconto, che nel caso dei GDR risulta il tavolo di gioco). In un GDR, il piano diegetico nasce da regole che funzionano a livello extradiegetico. Lanciare un d20 e sommare la forza è una regola extradiegetica, che però si ripercuote sul piano diegetico quando il nostro guerriero riesce a colpire il goblin e questo viene raccontato. Anche il ruolo dei giocatori è una regola extradiegetica. Non esiste nessun DM all'interno della diegesi.
Possiamo quindi fare un balzo in avanti e parlare di sfida diegetica e sfida extradiegetica.

Una sfida diegetica è una sfida che si presenta all'interno del racconto, e non all'esterno del racconto. Dunque, se l'indovinello da risolvere è diegetico, saranno i personaggi all'interno del racconto a doverlo risolvere. O pensate anche a un masso da spostare. È una sfida, ed è chiaramente diegetica. Dunque spetterà al personaggio spostare il masso, non al suo giocatore.

Una sfida extradiegetica invece è totalmente esterna al racconto, e viene proposta ai giocatori al tavolo. Mettiamo che un gioco abbia, come metodo di risoluzione di un conflitto, il dover risolvere un'equazione matematica. La sfida, in questo caso, spetta al giocatore (poiché è il giocatore a dover risolvere l'equazione, non il personaggio) ed è totalmente extradiegetica.

Poco più su abbiamo visto come fondere i due piani porti a tutta una serie di problemi e confusioni particolarmente fastidiose. Per evitare di ricadere nelle stesse trappole, non ci resta che analizzare il tutto partendo dal presupposto che i piani rimangano separati.

Ricapitolando e semplificando, il piano diegetico è il piano dei personaggi; il piano extradiegetico è il piano dei giocatori. Per proseguire nella nostra analisi, devono rimanere separati e vediamo cosa questo comporta.


Cosa succederebbe se la sfida fosse solamente sul piano diegetico?
Beh, se la sfida tattica fosse solo al livello del personaggio, allora il gioco non sarebbe un gioco con una sfida, proprio perché non è compito del giocatore scervellarsi per affrontare la sfida, ma compito del personaggio. Pensateci bene, esattamente come correre per seminare degli inseguitori o picchiare il goblin non è compito del giocatore, ma del personaggio, affrontare la sfida posta all'interno della storia non è compito del giocatore, ma del personaggio. Certo, gli imput dei giocatori sono richiesti e necessari, e bisogna impegnarsi, ma la sfida è posta in secondo, a volte in terzo piano. La sfida è solo narrazione, in alcuni casi solo colore, ed è bella è interessante perché crea narrazione. Nulla di più e nulla di meno.

Seguendo quest'approccio, non è il giocatore di Parnassus a dover risolvere l'enigma, ma Parnassus stesso, il personaggio. A seconda del sistema risolutore utilizzato, il giocatore di Parnassus tira i dadi, pesca le carte, spende punti o altro, e se vince il conflitto, allora il suo personaggio risolve l'enigma. Potrebbe essere il GM a narrare come ci riesce, oppure il giocatore stesso; ciò che davvero conta è che Parnassus ha risolto l'enigma.

Questo approccio elimina quasi totalmente tutte le sfide extradiegetiche. Ovviamente è impossibile eliminarle del tutto, perché una certa inventiva nella narrazione sarà sempre richiesta, ma sicuramente il gioco non sarà un gioco competitivo dove la sfida posta al giocatore è importante. Anche nel gioco meno "sfidante" possibile ci sarà comunque un minimo di sfida. Semplicemente, la sfida non è per quel gioco qualcosa di importante e verrà sicuramente messa in secondo piano per lasciare spazio ad altre priorità.
Dovendo giocare un'avventura alla "Da Vinci's Code io opeterei per giochi che portano la sfida principalmente al livello diegetico, perché ciò che conta davvero è il dipanarsi della storia e il dramma che piano piano esce a galla. 

E se la sfida fosse solamente sul piano extradiegetico?
Se la sfida fosse solo al livello del giocatore, allora il gioco sarebbe un gioco con una sfida, perché chi gioca deve mettere in moto la testolina e giocare per vincere la sfida nel migliore dei modi. Nel farlo, però, visto che la sfida è posta al giocatore, non al personaggio, egli è libero di interpretare il proprio personaggio nel modo che reputa migliore. Non si confondono più i due piani, e il giocatore che dovesse scegliere di interpretare uno stupido e rozzo barbaro sarebbe libero di giocarlo in maniera appropriata senza venir tagliato fuori dalle decisioni tattiche.

Seguendo quest'approccio, risolvere un enigma e spaccare la testa al troll sono sfide diegetiche che vanno affrontate dai giocatori a livello extradiegetico. Per fare qualche esempio, in modo da capire la differenza, la sfida extradiegetica potrebbe stare nell'utilizzare in maniera geniale le carte a disposizione, oppure i propri punti, o le meccaniche del gioco.
Pensate a un sistema di risoluzione dove i giocatori devono giocare a dama. Ogni spostamento sulla scacchiera permette al giocatore di narrare un'azione del proprio personaggio (o meglio, narrando un'azione egli può muoversi sulla scacchiera), mentre mangiare una pedina avversaria permette di vincere il conflitto. È ovvio che il gioco sia un gioco con una sfida, e che premi il giocatore più furbo e bravo nell'imbastire tattiche, ma permette anche al giocatore di interpretare il proprio personaggio come preferisce.
Vince il conflitto? Bene, Parnassus risolve l'enigma in maniera geniale e Grunt spacca la testa al troll in accordo con i suoi modi poco brillanti. In entrambi i casi, i giocatori hanno dovuto giocare d'astuzia per vincere.

Questo è possibile quando la sfida va oltre la diegesi e si pone sul piano extradiegetico. In questo caso possono esistere e sicuramente esisteranno sfide diegetiche che i personaggi dovranno affrontare, ma molto probabilmente la sfida extradiegetica sarà diversa e al livello delle meccaniche di gioco.

Dovessi mai creare il GDR di Professor Layton opterei per meccaniche che portino la risoluzione degli enigmi a livello extradiegetico e diegetico assieme, ma sarebbe un caso particolare in cui la cosa funzionerebbe perché la fiction di riferimento stessa parla di risolvere enigmi ponendoli tanto al personaggio che al giocatore. 
Ovviamente, non è tutto così bianco e nero. Ci sono giochi con una percentuale più o meno alta di sfide diegetiche, ma dato che è impossibile ragionare per categorie, non resta che fare degli esempi.

Anima Prime

Anima Prime è un gioco molto votato al combattimento, e si prefigge di ricreare storie alla Final Fantasy o alla Avatar: the last airbender. Si tratta di un gioco molto, molto tattico/strategico dove utilizzare le proprie risorse e scegliere la tattica giusta può rivelarsi fondamentale per vincere una battaglia. Però, la tattica è tutta rivolta alle meccaniche (quindi sul piano extradiegetico) e non sul movimento o la posizione o le azioni del personaggio nel mondo diegetico.
Tutta la gestione degli scontri sta nella bravura di accumulare punti tramite le manovre (ad esempio, narrando uno scambio concitato di colpi di spada nella maniera più figa possibile) e poi utilizzarli per mettere a segno poteri o strike (la palla di fuoco che brucia l'avversario o la spada che finalmente lo colpisce) e quindi infliggere danno agli avversari. Dato che lo strike spreca risorse, meglio averne tante per essere certi di riuscire veramente nell'intento.  
 
Dato che si tratta di un gioco free, qui potete scaricare il regolamento e testarlo di persona (occhio, è in inglese).  



Scollamento narrativo

Un problema di questo approccio pesantemente extradiegetico è che c'è il rischio di scollare pesantemente le meccaniche e la fiction. Per dirla con le parole di questo articolo, si rischia di arrivare a un punto in cui il piano extradiegetico e quello diegetico smettono di dialogare e agiscono in maniera completamente slegata l'uno dall'altro. Questo è un problema. Il GDR vive del piano diegetico, ossia di quella che viene comunemente chiamata fiction. Se le meccaniche del gioco non creano fiction, allora il GDR inteso come "gioco di fiction" smette di esistere.
Giochi come Agon, focalizzati su meccaniche di risoluzione molto extradiegetiche, soffrono enormemente di questo problema. Ovviamente, anche giochi come D&D 3.x o 4.0 (quest'ultimo quello con la sfida più equilibrata e focalizzata) soffrono di questo problema per quanto riguarda il combattimento. Vi è mai capitato di dire "lo attacco" e basta? Ecco.
Perché? Perché più si incentiva la sfida in maniera coerente e focalizzata (pensate a D&D 4.0 per farvi un'idea) e più si imbocca la strada dei "giochi da tavolo", che sono perfetti da questo punto di vista ma non implicano una fiction e non sostengono nessun piano diegetico. 
Evitare di cadere in questo errore è la più bella delle sfide di design. Se siete dei designer e volete creare un gioco in cui la sfida diventi uno degli elementi più importanti e fondamentali, dovete pensare a come legare le meccaniche alla fiction, in modo che creino fiction e spingano in avanti la storia.
Volete un esempio pratico? Date un'occhiata a "Mille e Una Notte" di Meguey Baker o a "Sognami" di Giovanni Micolucci per avere l'idea di giochi fortemente competitivi basati interamente sulla fiction e le storie.