martedì 11 luglio 2017

Qualche mito da sfatare sui giochi di ruolo non tradizionali

Questo articolo nasce in maniera molto pacata e pigra come risposta automatica alla grande marea di disinformazione riguardo i cosiddetti giochi non tradizionali, ossia tutti quei giochi diversi, strani e spesso indipendenti che calcano la scena dei giochi di ruolo ormai da più di un decennio. Attorno a loro e ai loro giocatori sono nate leggende, luoghi comuni spesso falsi e miti assurdi, spesso fatti circolare da chi non aveva bene in mente di cosa si stesse parlando. 

Questo articolo vuole sfatare i miti più diffusi e duri a morire, quelli che ti vedi spuntare una volta sì e l'altra pure all'interno di molte discussioni di gdr sui social network. Se avete altri miti da segnalare, fatelo pure nei commenti.

Mito 1: tutti i giochi non tradizionali sono una categoria di giochi nota come New Wave oppure Moderni o Forgiti. 

Falso. Non sono una categoria di giochi, anzi; per quanto sia possibile trovare all'interno dell'enorme panorama non tradizionale giochi che afferiscono a determinate categorie (come i PbtA o i Jeep Form), i giochi non tradizionali non sono una categoria ed è quindi sbagliato appellarli con nomi come New Wave, Moderni o Forgiti (su questo termine vedremo meglio nel terzo punto); per questo motivo mi riferisco a loro con il termine non tradizionali. L'unica cosa che li accomuna è, appunto, essere diversi dai giochi tradizionali (e a volte nemmeno così tanto diversi). Per dirla in parole povere: esistono i giochi tradizionali, caratterizzati da un approccio simile e quindi catalogabili, loro sì, all'interno di una precisa macro categoria (al cui interno esistono sì differenze, ma anche enormi convergenze), e poi esistono tutti gli altri giochi possibili. Quest'infinita gamma di possibilità sono i giochi non tradizionali, diversissimi tra loro e spesso non accomunabili. 

Mito 2: tutti i giochi indie sono giochi non tradizionali

Falso. Indie è la contrazione del termine inglese independent e fa riferimento a tutto ciò che in campo artistico è al di fuori dell'orbita delle grandi industrie del settore. Nel senso più vicino del termine, con indie ci si riferisce a tutti quei giochi di ruolo autoprodotti o pubblicati da piccole label indipendenti (che in Italia sono piccoli editori come Narrattiva, Mini Games, Acchiappasogni, Dreamlord Press, Coyote Press e altri). Il termine indica quindi un tipo di produzione e non un tipo di di design e di gioco. Titoli come Urban Heroes o Nameless Lands sono giochi del tutto tradizionali ma anche giochi indie, poiché autoprodotti dagli autori.

Mito 3: tutti i giochi non tradizionali vengono da The Forge e sono giochi "forgiti"

Prima occorre spiegare brevemente cos'è stato The Forge. Agli inizi del nuovo millennio, un designer americano di nome Ron Edwards, dopo aver sperimentato nuove idee con un gioco seminale chiamato Sorcerer, decide di aprire una community online per spingere il cosiddetto gioco indipendente, quindi slegato dalle major e dagli interessi economici, in netta polemica con quello che era il mondo dei GDR specialmente dal punto di vista editoriale. Su The Forge si ritrovano svariati autori e si crea un ambiente prolifico per nuove sperimentazioni e idee innovative, che daranno vita a giochi come Dust Devils, Cani nella Vigna, Trollbabe e altri. Il forum muore ufficialmente nel 2012, chiuso dallo stesso Ron Edwards poiché per lui aveva ormai esaurito i suoi propositi.

Va da se che il mito è falso. Di sicuro The Forge ha avuto un peso non indifferente per quanto riguarda la sperimentazione di giochi che andassero oltre lo schema tradizionale, ma non tutti i giochi non tradizionali sono nati dalle idee e dai dibattiti del forum di Ron Edwards. Esistono giochi non tradizionali precedenti a The Forge (The Pool e Burning Wheel per citarne un paio, e alcuni infilerebbero anche gran parte dei giochi OSR), giochi contemporanei di designer nemmeno iscritti al forum e, specialmente, giochi successivi a The Forge non connessi con le sue idee o i suoi autori (Apocalypse World, per esempio, si può considerare un gioco in rottura con alcuni concetti di The Forge).  Per quanto molti giochi nati su The Forge risultino ancora oggi innovativi e continuino ad ispirare altri designer, molti giochi non tradizionali presenti sul mercato non hanno nulla a che fare con The Forge (Fate, Cortex+, Blades in the Dark, ecc)

L'aggettivo "forgita" è dunque spesso e volentieri usato a sproposito e risulta quasi sempre male indirizzato (vedere anche il Mito 1). 

Mito 4: tutti i giochi non tradizionali sono fatti per one shot o poche sessioni

Falso, e non capisco da dove venga quest'idea. Non tutti i giochi non tradizionali sono veloci e si risolvono in una o poche sessioni. Certo, esistono anche giochi brevissimi, ma sono moltissimi quelli che richiedono tante ore di gioco per essere portati a termine, come per esempio Apocalypse World e quasi tutti i powered by the apocalypse (Dungeon World, Monsterhearts, ecc.), Fate, Mouseguard, Cani nella Vigna, Blades in the Dark, Cortex+, ecc.

Mito 5: in tutti i giochi non tradizionali non c'è il GM, ce la si racconta e non si tirano mai dadi

È uno dei miti più falsi e nasce da un preconcetto: i giochi non tradizionali più conosciuti sono nati per permettere di giocare storie appaganti frutto di una narrazione emergente, ossia senza che ci sia a monte una preparazione del GM. Dato che per molti giocatori abituati al tradizionale approfondire la narrazione significa non tirare i dadi, ecco che si è subito pensato a quei giochi diversi come a giochi privi di alea, dove tutti quanti ce la si racconta e spesso non c'è nemmeno il GM. 

A dire la verità molti dei migliori giochi con una storia emergente, detti anche story now, utilizzano una caterva di dadi; penso a Cani nella Vigna, dove si arriva a lanciare decine di dadi in un volta sola, ma anche a giochi come Trollbabe, la Mia vita con il Padrone o il Solar System, tutti con un'alea molto forte, un GM e privi della temuta narrazione condivisa. Esistono di sicuro giochi senza GM, con autorità narrative condivise e senza alea (Archipelago III è un buon esempio), ma sono la minoranza. 

Mito 6: nei giochi non tradizionali non c'è la sfida

Falso. Ci sono giochi non tradizionali dove effettivamente non c'è, o almeno non nel senso in cui di solito viene intesa, ma ce ne sono altri dove invece la sfida c'è eccome. Penso subito all'italianissimo Ars Gladiatoria, con tanto di griglia di battaglia, oppure all'americano Agon, il cui nome stesso rimanda al concetto di agonismo. Anche un gioco focalizzato sulla narrazione, come Mille e una Notte, è in realtà un gioco competitivo dove alla fine c'è un vero vincitore.  Posso continuare con gli esempi: Blades in the Dark, Anima Prime, Undying, Aegis, Psy*Run, Forest Keeper (potrei continuare ancora con gli esempi)sono tutti titoli dove dove la sfida è presente e setta gran parte del mood del gioco. Come detto nel Mito 1, i giochi non tradizionali sono tutti molto diversi tra loro ed è possibile trovarci praticamente qualsiasi cosa, quindi non deve stupire che molti giochi siano effettivamente focalizzati su una sfida da vincere o sulla competizione tra giocatori.

Mito 7: i giochi non tradizionali tolgono potere al GM (e lo odiano)

Sì e no. Il mito è in parte vero, perché moltissimi giochi non tradizionali cercano effettivamente di rendere il GM un giocatore come tutti gli altri dandogli regole chiare da seguire, ma non tutti ne limitano i poteri (Apocalypse World e PbtA hanno una figura del GM davvero potente che ha quasi gli stessi poteri di un GM tradizionale e impatta sul gioco in maniera del tutto simile, tranne il fatto che non può modificare le regole o barare) e di sicuro nessuno odia la figura del master. Ripeto: nessuno!

Il motivo per cui molti giochi tentano di depotenziarne l'importanza, e anche uno dei motivi principali per cui esistono giochi privi di GM, è per togliere dalle spalle del povero master la mole di lavoro che di solito questa figura comporta. Ma è una motivazione solo di alcuni giochi, poiché, come detto, ogni gioco fa storia a se. Di solito la distribuzione delle autorità narrative e dei poteri ha una motivazione in base all'obiettivo di design del singolo gioco: così un gioco come La mia Vita con il padrone ha una figura di GM ancora più potente di un gioco tradizionale (ma alla fine viene ucciso dai giocatori in un finale catartico), mentre Annalise non ha proprio il master, e queste scelte hanno senso ai fini di design e dell'esperienza finale. Come sempre, le generalizzazioni non funzionano quando si parla dei giochi non tradizionali. 

Mito 8: i giochi non tradizionali sono tutti giochi intimisti per giocatori che amano i drammi psicologici strappalacrime e le storie d'amore LGBT

Tutti i giochi non tradizionali parlano di gente che muore di cancro, di stupri, di famiglie
problematiche, di uomini che amano uomini o di donne disperate, e sono fatti apposta per chi ama piangersi addosso su drammi di questo tipo. Masochismo ludico, insomma. Uno dei miti più falsi in assoluto.

Sì, è vero, esistono di sicuro giochi di questo tipo e, vi stupirà saperlo, alcuni di questi sono giochi stupendi che meriterebbero una chance da parte di chiunque. Una parte del mercato indie tenta effettivamente di scrivere giochi che scardinano l'idea che con i GDR ci si possa solo divertire, ma a guardare affondo è una parte risicata e piccola dell'intero. Esistono un'infinità di giochi che invece puntano sui temi più classici: fantasy, fantascienza, battaglie, dungeon da esplorare, avventura ad ampio respiro e senso del meraviglioso. Molti di questi sono titoli ormai abbastanza famigerati, come Dungeon World o Mouseguard, rispettivamente una lettera d'amore a D&D e un gioco cavalleresco con i topini, ma anche cavalli di battaglia del primo movimento indie, come Trollbabe, sono giochi tutt'altro che piagnoni (ci giocate Xena, volendo, vi basti sapere questo). Continuerei citando Fate, Blades in the Dark, Uncharted Worlds, Blood Red Sands, The Veil, Mostro della Settimana, 3:16, Anima Prime, ecc., ma esiste un gioco chiamato Motobushido, dove si giocano samurai a cavallo di Harley Davidson, che fa schizzare il tamarrometro così in alto da invalidare questo mito anche solo citandolo. Motobushido può accompagnare solo. 

Mito 9: essendo super focalizzati e con regole ferree, i giochi non tradizionali sono limitati e frenano l'immaginazione

Falso, ma spiegare il perché potrebbe essere un po' più ostico rispetto agli altri miti. Ci provo dividendo le varie motivazioni per punti. Principalmente, comunque, è vero che i giochi non tradizionali sono solitamente focalizzati, ma questo non limita in alcun modo la creatività e non rende il gioco automaticamente limitato o poco longevo. 

Prima di tutto, i paletti che molti giochi non tradizionali hanno non solo non strozzano la creatività, bensì la stimolano, dato che di solito il foglio bianco è il modo migliore per uccidere le idee. I paletti funzionano come spunti e di solito aiutano a creare qualcosa, obbligando a spremere le idee e a tirare fuori qualcosa di mirato a un dato obiettivo. 

In secondo luogo, un gioco non tradizionale non è mediamente più limitato di altri. Tempo fa qualcuno disse che in Cuori di Mostro non puoi giocare un insegnante di francese, cosa assolutamente vera da ambientazione visto che si giocano adolescenti a scuola (in realtà un personaggio potrebbe benissimo conoscere una lingua straniera e insegnarla ad altri), ma a conti fatti nemmeno in D&D puoi farlo. Certo, puoi dire che il tuo personaggio insegna francese (o qualsiasi altra lingua fantasy astrusa), ma questo non impatterà davvero sul gioco, dove contano molto di più le competenze di classe e dove di base si giocano avventurieri (non giocare avventurieri preclude tutta una serie di regole e rovina l'esperienza che il gioco vorrebbe offrire). D'altro canto, in Call of Cthulhu non puoi giocare un netrunner e in Cyberpunk non puoi giocare un mezzo drago, ma questo non li rende particolarmente limitati. 

Infine, la focalizzazione è utile per avere un gioco più chiaro per tutti, dove le regole spingono a giocare nel modo deciso dal designer e aiutano ad ottenere un'esperienza più controllata (ma non identica a se stessa: i giocatori contano tanto e lo stesso gioco avrà retrogusti diversi in base a chi lo gioca). Si potrebbe essere portati a pensare che un gioco non focalizzato permetta di fare tutto, ma a parte che non è vero a livello di design, non è vero nemmeno a livello concettuale: quando puoi fare tutto allora non puoi fare davvero niente, poiché le regole non ti aiutano ad ottenere nulla di preciso. La mancanza di focalizzazione richiede ai giocatori di focalizzare il gioco al posto del designer, con un lavoro a monte che di solito è lasciato sulle spalle del GM e che rischia di dare vita a un gioco incoerente. 

Mito 10: tutti i giocatori non tradizionali sono evangelizzatori che fanno proselitismo, denigrano i giochi tradizionali e fanno parte di una setta

Falso. Esiste sicuramente gente del genere, ma le colpe di qualcuno non possono ricadere su tutti. La maggior parte dei giocatori che amano i giochi non tradizionali sono persone normalissime che, a volte, amano divulgare la propria passione, esattamente come possono fare ed effettivamente fanno giocatori che amano il gioco tradizionale. C'è qualcosa di male in questo? 

Ogni giocatore vale e parla per sé, non per un intero gruppo che non esiste, e le community non si riuniscono per glorificare l'immagine di Ron Edwards (a molti non piacciono i suoi giochi e qualcuno nemmeno sa chi sia) o per diffondere il sacro verbo. Alcuni di loro amano giocare anche ai giochi tradizionali e qualcuno continua addirittura a pubblicarli. D'altronde è possibile giocare a D&D il martedì e a Cani nella Vigna il mercoledì senza subire effetti collaterali o squarciare il tessuto dello spazio-tempo. 

martedì 4 luglio 2017

GDR: come gestire narrativamente la creazione e lo sviluppo dei personaggi

Come giocatori di ruolo siamo abituati a pensare alla crescita dei personaggi come un miglioramento matematico. Il nostro Mago inizia l'avventura con Intelligenza 18 e una manciata di incantesimi conosciuti, ma piano piano diventa più competente e la lista delle magie conosciute supera in numero i nei di Bruno Vespa. 

Questa è una cosa divertente e di sicuro impatto ludico, ma ha a che fare con le competenze strettamente "numeriche" del personaggio, e non ci dice niente su com'è mutato davvero: è diventato meno stronzo? Ha perso fiducia nell'umanità? Ha risolto i problemi con suo padre? Se il vostro Barbaro mezz'orco inizia il gioco con Forza 16 e lo finisce con Forza 20, ma nel frattempo rimane lo stesso cavolo di personaggio, allora non è davvero cresciuto come persona; ha solo messo su più muscoli.

Prima di calarci nell'articolo vero e proprio è necessario fare una grossa, ciccionissima precisazione: tutto quello che andrete a leggere (e che io andrò faticosamente a scrivere) parte dal presupposto che vogliate scrivere un gioco incentrato sulla storia, oppure giocare una partita/campagna/serie di sessioni dove al centro dell'attenzione ci sia la storia. Se quello che volete è un semplice duro e puro dungeon crawling, dove la storia non conta una mezza sega, oppure un gioco dove, per qualsiasi ragione, i personaggi non mutano in alcun modo (e ci sta tutto, è una scelta consapevole che per esempio funziona tanto in un certo tipo di fiction seriale), allora tutto quello che andrò a scrivere non vi interessa. 

Davvero, lo ripeto: se la storia non vi interessa o non vi interessano personaggi che evolvono come persone allora potete lasciar perdere l'articolo. 

Creare un buon personaggio

Un personaggio, in quanto essere di finzione, dovrebbe essere caratterizzato da un arco narrativo. Un arco narrativo è una metaforica "strada" da percorrere, lungo la quale un personaggio parte in un modo e arriva alla fine cambiato e diverso. Solitamente, un buon personaggio inizia la sua storia con un certo modo di pensare o dei problemi, e arriva alla fine con idee diverse, dei problemi risolti o modificati e/o con una lezione appresa. 

Drizzt Do'Urden (personaggio dei
Forgotten Realms e dei romanzi di
Salvatore) è un personaggio interessante
non per via del suo mega background,
ma perché ha un conflitto che funziona
e dei modi di fare e pensare che lo
caratterizzano.  Tutte cose che
cambieranno lungo il suo
arco narrativo.
Prima di tutto, per poter cambiare, un personaggio deve avere dei "tratti" caratteristici che ci dicono qualcosa di lui e che possano modificarsi lungo il corso della sua storia. Ovviamente non mi riferisco all'appartenere o meno a una data classe (Ranger oppure Guerriero) o avere un'abilità più alta o più bassa, che sono solitamente un insieme di competenze; mi riferisco a informazioni che rendono un personaggio più di una pedina: dei problemi, dei modi di fare e di pensare, dei legami. Ovviamente anche le sue competenze giocano un ruolo importante nella sua caratterizzazione, ma dato che molti giochi di ruolo già danno molto peso alle competenze (in realtà di solito è l'unica cosa regolamentata, l'unica che troverete sulle schede e l'unica ad avere peso meccanico), mi focalizzerò su tutto il resto.

Ah, altro disclaimer: non leggerete la parola background da nessuna parte al di fuori di questo breve paragrafetto. I background concepiti come la storia passata del personaggio dagli albori sino al momento in cui si comincia l'avventura sono solitamente inutili. Non ci dicono nulla di quello che ci interessa davvero conoscere, e se pure sapere dove Tizio sia nato e cos'ha fatto all'età di 14 anni possa essere interessante e a volte importante, di solito non impatta in alcun modo su quello che succede qui e adesso nella storia che andremo a giocare. Cosa muove adesso il personaggio? Che desideri ha? Quali problemi lo affliggono? A chi o cosa è legato? Queste sono le cose che ci interessano, si possono scrivere in due righe e gli unici elementi di background utili sono quelli legati a questi punti. Ma vediamo con più attenzione cosa serve davvero.

Abbiamo detto che un buon personaggio deve avere delle problematiche e dei desideri. Più
La saga di Mass Effect, specialmente nel
secondo capitolo, presenta un gruppo di
personaggi ben scritti, tutti quanti con il
loro conflitto ben chiaro e modi di fare e
pensare che li rendono tridimensionali.
pragmaticamente, a noi serve un motivo centrale all'interno di un arco narrativo, qualcosa di forte e caratterizzante che sia interessante da esplorare.

Solitamente in narrativa si dice che un buon personaggio principale debba avere un conflitto, ossia qualcosa che crei contrasti, lotte interiori, faccia crescere (un desiderio, una mancanza, una sofferenza, un obiettivo da raggiungere), la cui risoluzione stia al centro dell'arco narrativo. Probabilmente molti di voi poco avvezzi a questo tipo di discorsi staranno già pensando al conflitto come una quest da risolvere (un nemico da uccidere per trovare vendetta, un tesoro da trovare, ecc.), ma è molto più di questo, e di solito (con rare eccezioni) concepirlo come una quest da risolvere è il modo migliore per ottenere un problema fiacco che non funziona. Faccio un esempio per capirci meglio: un personaggio che ha subito un lutto recente e non riesce ad accettarlo ha un conflitto; il suo arco narrativo esplorerà questo problema e alla fine si vedrà come il personaggio cambierà affrontandolo. Anche un personaggio che non crede nell'amore ha un conflitto. Alla fine si innamorerà o resterà disilluso?

Il conflitto vale tanto nelle storie con un solo protagonista, sia in quelle con tanti protagonisti, le più diffuse all'interno del panorama gdristico. Prendete un film pieno di personaggi ben scritti: Guardiani della Galassia. Ogni singolo protagonista, sia nel primo che nel secondo film, vive un conflitto: Gamora è in cerca di redenzione dal suo passato; Rocket si sente fuori posto assieme agli altri; Drax è ossessionato dalla vendetta (notare come il suo conflitto sia l'ossessione per la vendetta e non il riuscire a ottenerla); Starlord non è in grado di formare legami duraturi, mentre nel secondo film sente forte la mancanza di un padre. Se avete visto i film saprete in che modo gli archi narrativi porteranno all'evoluzione di questi conflitti.

Un buon personaggio ha, oltre al conflitto, modi di fare e pensare che lo caratterizzano. Le domande che dobbiamo porci sono: in che modo reagisce al mondo che lo circonda? Come affronta i problemi che gli si parano davanti? Come si relaziona con gli altri? Le risposte che daremo a queste domande ci diranno come far comportare il nostro personaggio e lo renderanno più vero. Ma soprattutto, sapere tutte queste cose, che a prima vista possono sembrare dei meri abbellimenti, ci renderà più chiaro sapere in che modo le azioni del personaggio impatteranno sul mondo che lo circonda e come il mondo impatterà su di lui. Il modo miglior per capire come e quanto un personaggio sia cambiato è proprio attraverso il modo in cui parla, agisce e ragiona, tutte cose che vediamo concretamente.

Una delle regole della narrativa è show, don't tell (mostra, non raccontare), che vuol dire che quello che conta è mostrare i comportamenti dei personaggi mentre fanno cose. E così, il Drax ossessionato dalla vendetta si comporta in maniera sconsiderata, cerca attivamente la morte ed è violento con tutti. Quando finalmente capisce quanto è stato stupido il suo agire, i suoi modi di fare cambiano quel tanto che basta per farci capire che sì, ha davvero imparato la lezione. Più o meno.

Ora, in un gioco tradizionale tutti gli elementi che abbiamo elencato non hanno alcun peso meccanico e a volte ne hanno poco anche a livello generale, poiché molti gruppi giocano avventure da risolvere in cui in effetti non servono (cosa che va benissimo e che non disprezzo per nulla), oppure perché molti GM preparano una storia così precisa che, ci siano o non ci siano, quegli elementi non hanno alcun peso perché non impattano in nessun modo sul plot. Ma altri giochi? Come gestiscono la cosa?

Non tutti i giochi non tradizionali la gestiscono in maniera diretta o lo fanno, anche perché non tutti si focalizzano sulla creazione di una storia emergente. Quelli che lo fanno hanno trovato dei trucchetti. Penso per esempio ad Avventure in Prima Serata, gioco regolisticamente molto leggero il cui scopo è riprodurre il tipo di storie delle serie tv. Ogni personaggio ha un problema (il nostro conflitto), è caratterizzato da competenze e legami e ha dei numeretti che ne indicano la presenza in scena di episodio in episodio. Quando in una sessione un personaggio ha 3 nella presenza in scena, vuol dire che quella puntata parlerà del suo problema e tutto è pensato per permettere a quel problema di cambiare in qualche modo. Tutto punta alla crescita dei personaggi, esattamente come avviene nelle serie tv fatte bene, da Buffy a Breaking Bad, da Lost a Grey's Anatomy.

Anche Fate, nelle due versioni Base e Accelerato, pone l'accento su chi sono i personaggi e quali
sono i loro conflitti. Il gioco descrive ogni personaggio con dei tratti, ossia frasi narrative che ci danno informazioni su chi lui sia, quali competenze ha, quali sono i suoi conflitti, i suoi legami, ecc. C'è un aspetto molto importante chiamato Problema, attorno al quale il GM imbastisce veri e propri archi narrativi ponendo domande alle quali le azioni dei personaggi daranno delle risposte. Nella versione accelerata poi non ci sono le abilità, ma gli approcci: sei approcci che indicano in che modo i personaggi affrontano i problemi e agiscono.

Altri giochi mettono in gioco conflitti e modi di fare, e lo fanno senza che sia così palese come in Fate. Prendiamo un gioco insospettabile: Apocalypse World (Mondo dell'Apocalisse nella versione italiana). In AW ogni personaggio è caratterizzato da un libretto. I libretti non sono soltanto classi di competenza (anche), ma più che altro archetipi narrativi. I vari punteggi che ogni libretto ci obbliga a scegliere (dandoci scelte limitate) riflettono le mosse base (una mossa è una regoletta meccanica che si attiva quando in gioco succede qualcosa che vale come attivatore di quella mossa), ognuna delle quali ci dice come agisce di norma un personaggio dell'apocalisse. Inoltre, ogni libretto ha mosse personali che indicano sia competenze sia modi di fare. Ma cosa più importante, ogni libretto, grazie alle mosse e all'impostazione archetipica, esplora un tema, che è a conti fatti il conflitto del personaggio ed è solitamente esplicitato nella descizione base di ogni libretto. Pochi figli di AW, i cosiddetti Powered by the Apocalypse, hanno davvero capito quest'approccio. Tra quelli che lo hanno fatto vale la pena citare Monsterhearts, Mask, Sagas of the Icelanders.

Vedremo meglio più avanti come i giochi citati sviluppano questi elementi all'interno di archi narrativi.
I personaggi di Final Fantasy IX sono ben scritti: hanno tutti quanti un conflitto
molto chiaro (pensate a Steiner, lacerato tra cieca fedeltà e libero arbitrio, o a Vivi, pupazzo
sintetico alla ricerca di un'identità), modi di fare e pensare caratterizzanti e archi
narrativi che li porteranno ad evolvere e cambiare.

Sviluppare l'arco narrativo

Sviluppare l'arco narrativo di un personaggio significa portare i personaggi a confrontarsi con il proprio conflitto e spingerli a cambiare. Questo in narrativa è sintomo di una buona scrittura e lo si fa mettendo davanti ai personaggi delle scelte importanti. Le scelte sono solitamente momenti drammatici o comunque topici in cui i personaggi mostrano chi sono o cosa stanno diventando; sono momenti che devono impattare significativamente sul plot, che deve cambiare in maniera evidente in base alle scelte compiute e alle loro conseguenze. Le storie scritte bene hanno sempre questo genere di scelte, mentre quelle scritte male ovviamente no.

Provo a fare degli esempi significativi estrapolandoli da qualche film famoso. Prendiamo il primo Indiana Jones, I Predatori dell'Arca Perduta, film che se non avete visto siete delle brutte persone. Lungo tutto il film Indie porta avanti un arco narrativo incentrato sul suo conflitto: si tratta di un personaggio cinico ossessionato dal ritrovamento di antichi tesori, che abbandona le persone e sembra interessato solo al raggiungimento dei suoi scopi; è un ladro di tesori, ma davvero è solo questo? Lungo il film gli vengono messe davanti delle scelte importanti per stressare questa sua caratteristica, una delle quali, la più iconica, avviene quando i nazisti hanno in ostaggio la donna che ama e lui li minaccia puntando un bazooka contro la mitica Arca dell'alleanza (questa scena qua). I suoi avversari lo incalzano: "lo faccia signor Jones, forza. Sappiamo che non ha il coraggio di distruggere un pezzo così inestimabile" e noi spettatori fremiamo nel sapere cosa farà il protagonista. Distruggerà l'Arca, dimostrando che il suo amore per Marion vale più della sua ossessione per le antichità, oppure abbasserà il bazooka?

Analizziamo bene la cosa: cosa succede in quella scena? Indie è messo davanti a un ostacolo ed è il modo in cui egli deciderà di affrontarlo a caratterizzarlo come personaggio. La scelta che prenderà ci mostra la sua personalità e cambierà il corso degli eventi. È da queste scelte che si vede come il personaggio sta crescendo o come, subendo una sconfitta perché non ha cambiato i suoi comportamenti, deciderà poi di modificarli imparando una lezione. Alla fine del film, infatti, Indie crede finalmente nel potere dell'Arca e capisce che il suo amore per Marion è davvero importante.

In un gioco di ruolo che vuole portare avanti un arco narrativo queste scelte sono fondamentali e dovrebbero avere un peso importante nell'economia di una partita. Va da se che un gioco dove il GM o chi per lui ha già deciso come andranno le cose, ha cioè un plot già pronto, rende abbastanza difficile portare avanti questo tipo di situazioni perché rende ininfluenti le scelte dei giocatori e di conseguenza dei loro personaggi

Vediamo quindi come affrontano la cosa giochi dove nessuno prepara un plot e dove la storia emerge automaticamente dal gioco. Prima di riprendere i titoli che ho nominato più su penso sia importante parlare di una tecnica nata nell'alveo dei cosiddetti giochi story now: la cosiddetta tecnica dei Bang. I Bang sono momenti che obbligano il giocatore a prendere decisioni tematicamente rilevanti ai fini della trama, in modo che qualsiasi cosa decida porterà avanti la storia in un modo decisivo. Chiaramente, ai fini della riuscita del Bang il giocatore che lo propone deve essere differente rispetto a colui che dovrà decidere come reagire (nel caso di un gioco con GM, è questo che propone il Bang ai giocatori). Facciamo un esempio di Bang ben pensato: Tizio è un eroe in preda a dubbi morali che sta combattendo la terribile Lady Malvagità. Lady Malvagità rivela che tutte le sue azioni malvagie derivano dal fatto che lei ama davvero Tizio. Cosa farà Tizio adesso?

Chissà da dove avrò preso l'esempio per il
Bang.
Perché funziona? Perché pone infinite opzioni che impatteranno significativamente sulla storia, persino il non fare nulla. Non spinge verso scelte utilitaristiche e razionali (tipo: se uso queste munizioni poi non avrò nulla per gli zombie. Che faccio?) ma verso scelte emotive. Facciamo l'esempio di un Bang imbecille, così capiamo qual è il punto centrale: il GM dice al giocatore: "vedi tua moglie cadere dal palazzo. Cosa fai?". Non è una vera scelta, è una situazione che richiede una reazione scontata; è un semplice pericolo da risolvere. Ogni scelta che il giocatore prenderà dovrà dire qualcosa del suo personaggio per farlo evolvere in qualche modo. Se l'unica cosa che una scelta fa accadere è rimanere esattamente dove si è, allora è una scelta del cappero. Tutte le opzioni da prendere devono essere valide, altrimenti la cosa non ha alcun senso.

Quella dei Bang è tuttavia una tecnica vecchiotta, una delle prime tecniche che spingono davvero verso una storia emergente. Con il passare degli anni si sono sviluppati giochi che la declinano in modi molto focalizzati, oppure in cui usarla risulta addirittura dannoso (penso per esempio a Spione). A questo punto è quindi importante vedere in che modo i giochi citati sopra stressano i conflitti dei personaggi e in che modo spingono questi ultimi ad evolvere come persone.

Abbiamo fatto l'esempio di Fate e di come i personaggi siano costruiti attorno a dei tratti e a un problema. Questi tratti entrano spesso in gioco e il GM deve costruirci attorno degli archi narrativi. Quando si siede nella sua cameretta e inizia a preparare l'avventura per la sessione dopo, il GM non si mette a pensare a una storia. No. Seguendo uno schema preciso e delle linee guida prende il problema di ogni personaggio e pensa a dei Bang, ponendosi delle domande alle quali lascerà che siano i giocatori e il risultato dei dadi a rispondere. Quando queste domande trovano delle risposte ecco che i giocatori sbloccano dei Traguardi. Questi Traguardi, che sono di tre tipi (minori, medi e maggiori), non solo permettono di migliorare le competenze dei personaggi, ma anche e specialmente di modificare i suoi aspetti, evolvendo di fatto il personaggio. Caio ha dimostrato che in effetti non è così avido da lasciare gli amici in pericolo? Bene, cambia l'aspetto per riflette la cosa.

In Fate c'è anche di più. La meccanica delle tentazioni permette a chiunque di tentare un aspetto, facendo in modo che ne conseguano dei risultati negativi o spiacevoli, creando così ancora più tensione al tavolo dato che spetta al giocatore decidere se accettare la tentazione, ricevendo dei token (punti fato) utili in seguito, oppure se non accettarla spendendo lui uno di quei token. La scena di Indiana Jones sopra menzionata mostra chiaramente una tentazione, che seguendo lo schema del gioco possiamo formulare così: hai l'aspetto "dovrebbe stare in un museo" nella situazione di stallo in cui minacci di far esplodere l'Arca se non liberano Marion, quindi è sensato che tu decida di non farlo e abbassare il bazooka. Questo prende una brutta piega quando succede che i nazisti ti accerchiano pronti a prenderti come prigioniero. Accetti la tentazione?

Cambiamo esempio e torniamo ad Apocalypse World. In AW esistono i punti esperienza, ottenibili ogni qualvolta il giocatore tira sulla caratteristica "evidenziata". Sono gli altri giocatori e il GM che evidenziano due caratteristiche ogni sessione, e dato che ogni caratteristica è legata a una particolare mossa, la scelta di evidenziare una caratteristica in particolare significa che i giocatori e il GM vogliono vedere il personaggio fare determinate cose in partita.  Ovviamente tutto è legato a come funziona l'impostazione della partita.

Il GM spinge su triangoli tra PG e PNG importanti, in modo che i giocatori siano spinti a fare scelte drammatiche. La meccanica delle mosse poi, con la tecnica del fail foraward, aiuta il GM a inserire imprevisti con un fallimento e aiuta il giocatore a prendere decisioni tematiche. Piano piano le mosse base e specialmente quelle dei vari libretti portano a sviscerare quel determinato archetipo mettendo in gioco il suo conflitto tematico. Una volta che il giocatore ottiene abbastanza esperienza per fare un avanzamento deve scegliere nuove mosse e possibilità che lo aiutano a esplorare quel libretto. Una volta che si arriva all'ultimo avanzamento il libretto dovrebbe essere bello che esplorato e il giocatore ha difatti delle scelte per chiudere l'arco narrativo, tra cui ritirare il personaggio oppure cambiargli il libretto, di fatto facendolo evolvere.

Un ultimo esempio


Porto lentamente in chiusura l'articolo con un ultimo, grosso esempio: Cani nella Vigna (Dogs in the Vineyard). Si tratta di un gioiello di design, un gioco basato sulle scelte morali dei giocatori e ambientato in un western alternativo, dove una larga comunità di mormoni sceglie giovani ragazzi come postini e portatori del verbo del signore della vita, ossia i cani nella vigna del signore. I cani viaggiano di villaggio in villaggio e hanno l'ultima parola sui problemi morali delle varie comunità.

All'inizio del gioco i giocatori creano i cani scegliendo il loro background da una piccola lista, scrivono dei tratti caratterizzanti del personaggio (frasi descrittive che ci dicono qualcosa su di lui) e poi giocano il loro addestramento. È un primo momento topico, dal quale uscirà fuori la tematica centrale del personaggio, quello che prima abbiamo chiamato "conflitto".

Dopo che viene giocata la scena di iniziazione i personaggi partono per il loro viaggio. Il GM crea il primo insediamento, inserendo un problema legato a un peccatore e volutamente in tema con quanto uscito fuori dalle scene di iniziazione. Arrivati nell'insediamento i giocatori scoprono il problema e decidono come agire, avendo totale libertà sulle proprie scelte morali. Sulla loro strada troveranno sicuramente degli ostacoli, anche creati da loro stessi, e i conflitti sono meccanicamente pensati per spingere i giocatori a mettere in gioco quello in cui credono e i tratti dei loro personaggi. Per vincere, o in seguito a delle sconfitte, i personaggi subiranno quelli che vengono chiamati "fallout" , ossia ricadute che cambieranno lentamente i loro tratti, facendoli diventare persone diverse.

In conclusione

Eccoci arrivati alla fine. Mi scuso per la lunghezza chilometrica dell'articolo, ma avevo due scelte: farlo breve e incompleto oppure lungo e più chiaro. Ho optato per la seconda opzione, spero sia stata la scelta migliore.

Ricapitolando: se il vostro intento è giocare storie, oppure scrivere un gioco improntato sul vivere una storia, allora vi serve che in fase di creazione dei personaggi si delineino personaggi con un conflitto e dei tratti caratterizzanti che ci dicano come essi impattano sul mondo e affrontano i problemi. Tutto il gioco deve essere pensato per stressare questi tratti ed esplorare il conflitto, in modo che i giocatori facciano scelte attive in grado di impattare e modificare la storia. Il gioco deve presentare anche un sistema che obblighi o aiuti i giocatori a modificare il proprio personaggio, in modo da rispecchiare quello che succede nella storia. 

Gli esempi che ho portato dovrebbero aiutarvi a focalizzare meglio la questione, dandovi al contempo spunti o consigli e, ovviamente, spingendovi magari a provare con mano giochi che fanno dello sviluppo narrativo dei personaggi il perno della loro esperienza. Siamo tutti molto abituati a giochi dove l'unica cosa che conta dei personaggi è l'evoluzione numerica delle loro competenze, cosa che non ci dice nulla del modo in cui evolvono e cambiano come persone. Sì, lo so che nell'hobby c'è l'idea molto forte che non servano regole per queste cose ma che servano un bravo GM e dei bravi giocatori. È un'idea che posso capire, ma il bravo GM non lo vendono con i manuali e i bravi giocatori sono rari quanto le mosche bianche. D'altronde, i concetti che ho esposto in questo articolo sono cose che si insegnano nei corsi di storytelling e sceneggiatura e non pretendo che un GM o un giocatore sappia come padroneggiarli.
TSOY è un altro gioco dove l'evoluzione
dei personaggi è al centro delle meccaniche,
tanto che alla fine cambieranno persino il
mondo.

È importante invece regolamentare questi elementi, in modo che semplicemente seguendo le regole, scritte per essere a prova d'idiota, chiunque, anche il meno avvezzo allo storytelling, possa giocare una storia emergente ed esplorare un arco narrativo di un personaggio. 

Per terminare, un'ultima cosa: potete certamente seguire ciò che ho scritto in questo articolo e applicarlo al tavolo mentre giocate a un gioco tradizionale. Certo che potete. Sappiate però che è molto probabile il gioco il gioco vi remi contro in qualche modo, perciò siate pronti a sbatterci la testa. Il perché questo succede e come fare per ovviare al problema sono argomenti che lascio volentieri a un altro articolo.